“Il funesto demiurgo, vent’anni dopo”

Cadavrexquis, 27/01/2006

Sul frontespizio, sotto il mio nome, c’è scritto, con la grafia più tondeggiante che avevo allora, “2 settembre ’86”. E’ il giorno in cui ho comprato Il cattivo demiurgo, che è stato in assoluto il primo libro di E. M. Cioran letto in vita mia, il libro che segna l’inizio di una storia d’amore che, tra alti e bassi, dura tuttora – più a lungo di qualsiasi altra storia d’amore che io abbia mai avuto in questi vent’anni. Allora avevo sedici anni e non so quanto sia incongruente che un ragazzino di quell’età perda la testa per un autore come Cioran, ma sta di fatto che a me è accaduto. Il demiurgo cattivoLe mauvais démiurge, in francese – è stato poi ripubblicato, per esplicita volontà dell’autore, con il titolo Il funesto demiurgo, con il quale si trova tuttora in libreria. E’ un’ironia della sorte che il primo libro di Cioran che ho letto, restandone folgorato, sia stato pubblicato in Francia nel 1969, cioè nell’anno in cui sono nato anch’io? C’è da trarne qualche presagio, considerando che il 1969 è anche l’anno in cui morì Witold Gombrowicz? Ma non voglio divagare. Dopo aver letto il bel saggio di Marta Petreu su La trasfigurazione della Romania, ho deciso di riprendere in mano – in francese, stavolta – Le mauvais démiurge. Non m’interessa farne un’analisi critica o scriverci sopra un bel saggetto: dopo tanti anni confronto me con il testo che ho sotto gli occhi e vedo anche quanto sono cambiato io. In occasione di quella prima lettura ho sentito in Cioran una voce e un tono mai uditi prima, una fiamma che faceva piazza pulita delle belle speranze e delle ipocrisie buoniste rifilate agli adolescenti quando vengono “educati” e che, allo stesso tempo, mi restituiva l’ossigeno necessario per respirare e per pensare. Pensare “contro” quello che ci si aspettava che un ragazzo sedicenne pensasse. Allora – più fondamentalista come lo si è quasi sempre a quell’età – vedevo soprattutto il lato nero, l’aspetto pessimista della scrittura di Cioran, mentre quello che mi sfuggiva e che invece ritrovo ora è la sua ironia – che spesso scivola in un’autoironia feroce, l’autoironia di chi, prima di non farsi più illusioni sul mondo, non se ne fa più su se stesso, con una serie di splendidi cortocircuiti tra ciò che si sa – o si crede di sapere – e ciò che si constata nella realtà dell’analisi di sé e dei propri comportamenti, cortocircuiti che danno luogo a lampi di verità accecante. Leggere – rileggere – Le mauvais démiurge mi ha fatto pensare, più di una volta: “Ecco, non sono solo, non sono più così solo”… [+]