ORIZZONTI CULTURALI ITALO-ROMENI, n. 1, gennaio 2015, anno V
Nel Cahier de Talamanca (Mercure de France, Paris, 2000, ediz. it. Taccuino di Talamanca, Adelphi, Milano, 2011), si legge che, nell’estate del 1966, Cioran progetta un saggio sulla redenzione: «Non mi è ben chiaro quale piega debba prendere il mio saggio sulla redenzione. (Bisogna che legga Mainländer, rilegga E. von Hartmann e mi rituffi negli gnostici)» [1]. Cioran è indeciso: «Al mio ritorno dovrò decidere se scrivere il saggio sul cafard o quello sulla redenzione, due progetti tra i quali tentenno da alcuni mesi» [2]. E ancora : «Quale senso trovare all’idea di redenzione? Tentare di leggere il libro di Philipp Mainländer: Die Philosophie der Erlösung» [3].
Ci sembra opportuno riportare un altro frammento, dove Cioran associa il nome di Basilide all’idea di redenzione – che prenderà poi forma, nel 1969, ne Il funesto demiurgo: «Credo, insieme allo gnostico Basilide, che l’umanità debba rientrare nei suoi limiti naturali facendo ritorno a un’ignoranza universale, autentico segno di redenzione. Bisogna che l’uomo superi la conoscenza, rinunci all’avventura della conoscenza […]» [4].
Non sembra azzardato osservare le corrispondenze fra il concetto di redenzione nello gnostico Basilide e nello schopenhaueriano Mainländer, ai fini di una fenomenologia dello gnostico in Cioran. Quello di Basilide è un nichilismo ante litteram: «[…] ogni essere, ogni cosa, l’universo preso nella totalità del suo divenire sono destinati a trovare il loro compimento definitivo nella notte della ‘Grande Ignoranza’, nella pace del ‘non essere’» [5].
La testimonianza sulla dottrina di Basilide, che Cioran cita, è quella di Ippolito, Confutazione VII, 27,1: «Allorché tutta la filialità sarà giunta e si troverà al di sopra del limite, cioè dello Spirito, allora la creazione troverà compassione. Infatti finora geme e si angustia e aspetta la rivelazione dei figli di Dio (Ep. Rom. 8, 19.22), affinché tutti gli uomini della filialità salgano qui in alto. Allorché ciò sarà avvenuto, Dio distenderà su tutto il mondo la grande ignoranza, affinché ogni creatura resti nella sua condizione naturale e nessuno desideri alcunché di ciò che è contro natura» [6]. L’idea di redenzione dello gnostico Basilide si traduce quindi in un ritorno al non essere che Cioran vede come possibile via di salvezza: «Redenzione: attraverso la conoscenza, attraverso il superamento della conoscenza» [7]. Dépaissement, «oltrepassamento» della conoscenza che si lega alla Erlösung, la «redenzione» della filosofia di Mainländer [8].
Sull’autore della Filosofia della redenzione – erede, insieme a Bahnsen e Hartmann del pensiero schopenhaueriano [9] –, scrive Volpi: «Architettò un sistema filosofico in cui concentrò il pessimismo dei suoi due maestri [Schopenhauer e Leopardi]: una ontologia negativa, una metafisica nera, basata sul principio secondo cui ‘il non essere è preferibile all’essere’» [10]. Mainländer pensa, come Schopenhauer, che non si conosce la cosa in sé bensì le sue apparenze, il mondo essendo così una rappresentazione. Ma, mentre in Schopenhauer la cosa in sé è volontà di vita, per Mainländer la cosa in sé è volontà di morte, anticipando così il concetto freudiano di Todestrieb, l’impulso di morte. Egli propone «[…] un’ardita congettura teologico-metafisica: essa nasce dal processo attraverso il quale la sostanza divina originaria – termine che egli riprende da cafard, altra scoperta fatta a Napoli – trapassa dalla sua unità trascendente alla pluralità immanente del mondo. E afferma: ‘Dio è morto e la sua morte fu la vita del mondo’, coniando per primo un’espressione che sarà resa famosa da Nietzsche» [11]… [+]